
Innovativa, ribelle e anticonvenzionale: ecco Rei Kawakubo, fondatrice di Comme des Garcons, brand che da Tokyo ha fatto il giro del mondo.
Se pensate a “Comme des Garcons”, cosa vi viene in mente? Tutto fuorché ad un brand di origine giapponese e con a capo una fondatrice donna, ovvero Rei Kawakubo. Ma se invece, ipoteticamente parlando, guardassimo una sfilata senza conoscere né nome né storia, cosa diremmo? Innovativo, sperimentale, anticonvenzionale, ribelle, libero e totalmente contemporaneo. Un azzardo, in poche parole: come fa ad essere innovativo e contemporaneo un brand che ha più di 50 anni di vita e si classifica come brand libero dagli schemi convenzionali della moda? Leggendo queste righe, avrete già capito che non si tratta del classico marchio che fa moda per vendere. Ma di un qualcosa di più profondo, storico e culturale insieme, che vale la pena raccontare. E se siete attenti lettori di Klamour, vi ricorderete di certo dove ne abbiamo già parlato. Allora, pronti per scoprire tutto su CDG e la sua fondatrice?
Rei Kawakubo: l’idea da dove tutto nasce
Riguardo ai primi anni di vita di Rei Kawakubo non si sa molto, solo che nasce nel 1942 a Tokyo l’11 ottobre e che frequenta il corso di letteratura presso la Keio University. Dopo aver terminato gli studi, intraprende la strada della pubblicità lavorando presso l’azienda tessile Ashai Kasei. Ma poi nel 1967 cambia totalmente e inizia la carriera da stilista freelance. Nel 1969 fonda il suo brand e da lì ha inizio la sua seconda vita, che porta un solo nome: Comme des Garcons. Ed è proprio qui che confluiscono e confluiranno tutte le sue idee, sia a livello di estetica sia a livello di epoca culturale. Ed è proprio da qui che bisogna partire per capire chi è veramente Rei Kawakubo.

Comme des Garcons: una sfida vinta contro il tempo
Se dovessimo riprendere le domande dell’inizio, ci faremmo la stessa domanda. Cosa c’entra il nome del brand con la fondatrice e tutto quello che ne consegue? Letteralmente significa “come i ragazzi” e a detta di Rei, l’ha scelto perché suonava bene. Ma al di là del significato più letterale che poco conta, andiamo a scoprire tutti i retroscena di un brand che tra gli anni ‘70 e ‘80 ha fatto la storia e ha segnato un’epoca, rivoluzionando il rigore, gli schemi e i diktat imposti dalla moda.
Forse non lo sapeva nemmeno la stilista dove sarebbe potuta arrivare in così poco tempo. O meglio, lo desiderava e lo sperava, ma non era consapevole dell’eco che avrebbe riscosso a quel tempo lei e il suo stile anticonvenzionale. Infatti, dopo i primi anni dal debutto a Tokyo, nel 1973 apre la sua prima boutique e a partire dagli anni ‘80 diffonde il suo stile e la sua visione stilistica a livello globale, facendo sfilare il suo brand a Parigi.

Subito la reazione da parte del pubblico e della critica è positiva. Il suo gusto estetico, il suo minimalismo portato agli estremi, la sua libertà d’espressione e d’avanguardia e la sua capacità di sperimentare arrivano tutti quanti, uno ad uno, conquistando il cuore e gli occhi delle persone.
Decostruttivismo e portabilità: i cardini del suo stile
Nella sfilata del 1981 a Parigi, scardina gli stereotipi di bellezza della moda di quel tempo proponendo un prèt-à-porter del tutto nuovo, ribelle e anticonvenzionale: tuniche nere senza orli e asimmetriche. Un concetto assolutamente rivoluzionario per l’epoca che invece era dettata da forme vistose, ricche di dettagli e tonalità vivaci. Ma di certo, come potremmo immaginare, questo non significa nulla e non condiziona tanto meno gli scopi della designer. Che al contrario vuole andare a fondo, ovvero destrutturare la rigidità degli schemi e dei volumi imposti dal settore fashion. Con lei e grazie a lei, infatti, ha inizio il decostruttivismo delle forme e dei volumi, senza dimenticare quello dei canoni. I cartamodelli vengono ribaltati, e con essi tutto quello che ha a che fare con il concetto di portabilità.

Rei con i suoi abiti vuole tornare all’origine, dove tutto è iniziato, per creare qualcosa di utile e di realmente indossabile. Le sue collezioni non sono opere d’arte, ma dei semplici vestiti ben confezionati che devono essere indossati da chiunque voglia sentirsi comodo. Anche se fin dall’inizio sposa questi ideali, è verso metà anni ’90 che la sua moda si fa realmente e concretamente portavoce di questi messaggi, realizzando ad esempio la collezione Unfinished del 1992. Qui insiste sul concetto di prodotto non finito, ribadendo che gli abiti non sono finiti fino a quando qualcuno non li indossa. E spiegando soprattutto come secondo lei dovrebbero essere scelti ed indossati per come fanno sentire e non per come fanno apparire.

Insomma, nelle sue collezioni, esprime valori molto forti, spesso provocatori e innovativi, che mettono in discussione la società e la cultura consumistica del tempo. All’idea del bello e del perfetto la stilista sostituisce l’idea del brutto e del non finito; all’idea dell’apparire quella del sentirsi e dell’essere. E così nel 1995, presenta la collezione Transcending Gender. Una linea pensata sia per uomo che per donna, dove questi non hanno né confini né differenze e possono indossare qualunque abito si sentano di indossare.

Comme des Garcons e Rei Kawakubo ai giorni nostri
Inutile dire che Comme des Garcons nel corso degli anni ha conquistato sempre più spazio, classificandosi come uno tra i brand più amati a livello globale. Seppur con una storia alle spalle che quasi supera i 50 anni, è ancora attuale, contemporaneo e veicolo di nuove forme di moda libera, ma soprattutto estraneo ad ogni forma di convenzione stilistica. Basta pensare che Rei, come abbiamo visto, fu la prima a scardinare una moda di apparenze, di etichette, di forme e di volumi. Celebrando invece i contrasti, le sovrapposizioni, il non definito. E fu poi la prima aprire un pop up store tra anni ’90 e inizi primi 2000.

D’altro canto, è anche vero però che per chi si avvicina per la prima volta, lo stile del brand e della stilista risulta difficile da comprendere e da spiegare. Ma forse il bello risiede proprio in questo: non può essere spiegato a parole. E tanto meno ci si può servire di parole e concetti stereotipati per definirlo. La sua anima va vissuta e assaporata guardando i vestiti, toccandoli con mano. Solo così ci si potrà sentire realmente vicini a questo brand geniale e per nulla etichettabile, superare i confini imposti dalla nostra società e vedere cosa si cela dietro.